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La difficolta nelle relazioni sociali (con audio dell’articolo)

La difficolta nelle relazioni sociali (con audio dell'articolo)

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In un mondo sempre più social, ma sempre meno legato alle interrelazioni vis-a-vis se non mediate da uno schermo, aumentano le difficoltà relazionali.

Gli acquisti senza bisogno di interagire direttamente

Oggi è possibile vivere per gran parte del tempo, se non totalmente, senza interagire direttamente con l’altro. Per parlarsi si chatta o ci si scambiano SMS, per comprare ciò che ci occorre si può rimanere comodamente in casa usando la rete internet.

Per fare la spesa, possiamo recarci in un supermercato acquistando articoli già confezionati e pagando alla cassa automatica oppure ordinarla dal web, il tutto senza aver avuto alcun tipo di scambio interpersonale.


Siamo sempre meno abituati a interagire con gli altri e ciò aumenta le difficoltà relazionali.


I social come strumento di confronto sociale

Allo stesso tempo, però, aumenta il confronto sociale poiché la maggior parte delle persone attive sui social posta le parti belle della propria vita: il momento splendido della vacanza, l’estemporanea affettuosa e gioiosa col proprio amore e, soprattutto, tanti selfie con espressioni sorridenti o in piena forma estetica.

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In vari casi, quegli scatti rappresentano soltanto un momento di serenità all’interno di una vita che, come è normale che sia, comporta alti e bassi. Ma chi osserva tutti quei post, che si susseguono in bacheca uno dopo l’altro, non si sofferma allo stesso modo sui post che esprimono considerazioni di rabbia o momenti di solitudine e di malinconia.


Spesso, quando si vive un momento di disagio, si focalizzano principalmente i post che testimoniano l’opposto mettendo indirettamente la persona a confronto con le proprie insoddisfazioni.


Di fatto, le persone che postano informazioni negative, difficilmente lo fanno su situazioni personali che rivelano la loro quotidianità. Sono pochi i soggetti che pubblicano foto in cui sono soli descrivendo le difficoltà con il partner o con il figlio o al lavoro. Ciò che condividono di negativo sarà la morte di un proprio famigliare, di un amico o di un animale o avvenimanti attuali di cronaca.

Conosco situazioni famigliari pessime, persone che vivevano una profonda crisi coniugale, ma nonostante tutto continuavano a postare volti felici e giornate di vacanza allegra e spensierata.

Tutto ciò produce una sorta di convinzione fallace nella persona che guarda spesso sui social le vite degli altri; fallace perché crede a ciò che vede convincendosi che rispecchi una realtà totalizzante di quella persona e non solo dei momenti a cui poi si intersecano altri momenti molto meno piacevoli o addirittura sofferenti.

Non bastano tante foto sorridenti per rappresentare una vera armonia e serenità personale e/o famigliare.

A volte, si mostra soltanto ciò che si vuol manifestare di sé, che non sempre corrisponde a ciò che realmente si vive, ma chi osserva quei post attua involontariamente un meccanismo chiamato generalizzazione.

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Il meccanismo della generalizzazione

Per questo tipo di meccanismo psicologico, la persona fa di uno o alcuni eventi una totale realtà. Per riprendere l’esempio dei post, se vedo sul social la foto di una persona col marito sorridenti, mi farò un’idea di coppia felice e in armonia. Ciò però potrebbe non corrispondere alla realtà ma riguardare soltanto dei momenti di condivisione, magari anche forzata perché si è con i figli, oppure è un modo per non far trasparire agli altri le difficoltà della coppia.

La frustrazione di chi osserva

Un altro aspetto importante è la convinzione che gli altri stiano meglio, il pensare che le proprie sventure siano maggiori rispetto a chi si sta osservando. Questa convinzione può produrre un’importante frustrazione e innescare o peggiorare il rapporto relazionale con gli altri, da cui ci si può sentire anche criticati.

Non sono rari, anche nella stessa persona, pensieri del tipo:

“Siccome quando siamo nel gruppo io parlo sempre poco, loro penseranno che non sono capace di esprimere una mia opinione”

“Quando sono con gli altri preferisco non parlare perché se sbaglio poi cosa penseranno di me?”

“Quando sono con gli altri non so che cosa dire”

Perché ci si sente giudicati?

Soprattutto nei casi in cui si è avuta un’educazione giudicante, gli altri divengono “un’unica persona” con cui è difficile reggere il confronto e, di conseguenza, relazionarsi.

In molti casi, si tratta di un meccanismo psicologico chiamato proiezione. La proiezione riguarda il vedere nell’altro ciò che è parte di noi, sia in positivo che in negativo. Nel caso del giudizio è possibile che siamo noi a giudicarci e vediamo nella testa dell’altro la nostra critica, ma avendola proiettata non la riconosciamo come nostra e crediamo davvero che sia lui a pensarla. Perciò se si ipotizza che l’altro ci trovi troppo silenziosi o incapaci di socializzare, è molto probabile che quel pensiero sia il nostro. In questi casi, chiedere all’altro cosa pensa di noi può essere utile a evitare opinioni errate e vissuti emotivi frustranti.

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Generalmente, le persone che si sentono giudicate sono i più severi giudici di se stesse.


Qual è il meccanismo psicologico che si attiva nelle difficoltà relazionali?

Spesso, alla base delle difficoltà relazionali c’è il timore di sbagliare, in molti casi dovuto ad una bassa autostima, e la convinzione di essere giudicati.

Esistono anche altri meccanismi dati dall’umore depresso o da altre problematiche che però vanno viste in base alla situazione specifica.

Ma vediamo il possibile iter che si crea nella persona con difficoltà relazionali:


  1. Paura della critica. Timore di sbagliare e di essere così mal giudicato.
  2. La paura di essere criticato produce la sensazione/convinzione di essere osservato e giudicato.
  3. Convinzione, in realtà fallace, di essere criticato per qualsiasi cosa si faccia o si dica (per es. se parla sbaglia perché ha parlato e se non parla sbaglia perché non ha parlato).
  4. A questo punto si produce un blocco emotivo che crea nella persona la difficoltà a pensare diversamente, ad aprire le vedute mettendo in discussione le proprie convinzioni. Ciò produce un meccanismo a catena che fa perpetuare i pensieri fallaci e quindi anche il comportamento disfunzionale. Esempi di comportamenti disfunzionali possono essere: evitare di uscire con gli altri, limitare le parole da proferire, chiedere rassicurazioni.
  5. La conseguenza può tradursi in momenti di estraniazione quando si è assieme agli altri. La persona, quando è in gruppo, per difendersi dal conflitto continuo sul fare o non fare e dalla conseguente frustrazione, tende a pensare ad altro e a non concentrarsi su quanto viene detto dagli altri.
  6. Questo atteggiamento mentale produce automaticamente difficoltà nei ricordi. La persona non sempre si rende conto che se le informazioni vengono sentite come un rumore di fondo, invece che ascoltate attivamente, sarà molto difficile che permangano in memoria poiché non ci vengono messe. Ma ciò che appare è l’ulteriore difficoltà data dal non riuscire a ricordare le cose e quindi un ennesimo problema che peggiora la percezione di sé.

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Dott.ssa LAURA PEDRINELLI CARRARA
Psicologa, Psicoterapeuta
Studio in Via Marche, 71 a Senigallia (An)
Cell. 347/9471337
www.laurapedrinellicarrara.it
pedrinellicarraralaura@gmail.com

 

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